Un cono per lo psicologo, grazie

gelato-7Quando alcuni giorni fa un amico mi ha detto che aveva intenzione di iscriversi ad una scuola di specializzazione in psicoterapia ho trattenuto il respiro. Non so perchè l’ho fatto. “Trattenere il respiro” è un modo di dire lo so, ma in fondo è controproducente se non respiri niente ossigeno e questo non va bene. È un modo di dire che prelude a scenari non particolarmente piacevoli. Ma torniamo al mio amico. Mi ha chiesto cosa ne pensassi e se le possibilità di lavoro aumentassero. Io non ho trattenuto troppo il respiro ma ho preso una pausa e ho pensato che fa molto caldo, è certamente un’estate calda. E ci vuole un cono per uno psicologo autostoppista.

Riepiloghiamo: dopo la laurea la prima notizia per gli psicologi non è che manchi lavoro, è che non hai esperienza e questo è un guaio. Inoltre, in un Paese che non vede di buon occhio l’esperienza il guoaio si raddoppia. Entrano in gioco diverse variabili che sfuggono da una definizione definitiva. Fattori culturali, risorse economiche disponibili, demografia del posto dove vuoi lavorare, casualità sorprendenti. In conclusione: sarà estremamente difficile trovare un posto adatto e congruente con i tuoi studi. Domanda: perchè la Facoltà di Psicologia non abbina l’esperienza con lo studio? Non sarebbe conveniente inserire gli studenti dentro un luogo di lavoro per svolgere il loro tirocinio giornaliero affinché il datore di lavoro “coltivi” secondo i suoi “gusti” il ragazzo affamato di esperienza? Prendi nota: urgente, cose su ci dovremo tornare a rifletterci.

Ne consegue la speranza che iscrivendoti ad una scuola di specializzazione da frequentare per i successivi 4 anni alla laurea infondi una marcata connotazione specialistica alla tua immagine. Perché, vedete, è come se ad un marziano cercate di rendergli noto il concetto di esperienza e lui vi guardi con disperata curiosità. Lo psicologo neolaureato non ha ben presente la grave lacuna della sua laurea, il deficit di esperienza. Sa che manca qualcosa. Manca il lavoro ok. Ma perché? Cosa manca perché il mio curriculum acquisti “peso”? Ecco, forse frequentando una scuola di specializzazione ho una “carta” in più e per di più! faccio un po’ di esperienza sia per il (breve) tirocinio annuale sia per il lavoro di gruppo all’interno della classe con cui mi formo. Finalmente, ai manuali che hai letto accosti attività pratica. Vedi pazienti, scrivi cartelle cliniche, partecipi a supervisioni, sperimenti colloqui clinici.

Poca roba. Spesso il tutto è confinato dentro il circuito della scuola di specializzazione (e clienti). L’aspetto interessante è che, al contrario dei troppi temi trattati manualisticamente all’università, hai scelto un percorso formativo focalizzato sulla psicopatologia, hai ristretto il target di intervento. Ma ne sei sicuro? Questa è un’illusione burocratica. In realtà, la preparazione è centrata su un panorama di problemi enorme e alla poca esperienza che ne ricavi aggiungi un’ennesima preparazione letteraria su un milione di argomenti che riguardano il comportamento, la mente e le relazioni tra menti. Ancora una volta sai troppe cose per forza di cose in modo superficiale e senza sufficiente esperienza. La temperatura aumenta…

Che fare? Inverti la rotta. Prendi nota: non è necessario allargare il numero di manuali da leggere o aggiungere carta su carta che certifichino la tua professionalità. Tanto la burocrazia serve per la burocrazia e la burocrazia è per definizione statale. Mettiti il cuore in pace: concorsi pubblici per psicoterapeuti non ce ne sono e non ce ne saranno. Ed è tutto sommato una buona cosa piuttosto che essere promosssi per un esame di cultura generale o di diritto penale e per i titoli cartacei di studio.

Inverti la rotta, riduci i manuali da leggere, ridimensiona i grandi disegni di una formazione post laurea quadriennale e focalizzati su un target specifico. Un corso, un master di un anno. Un buco di lavoro pertinente dove ti fai le ossa. Prendi un cono, divora presto il troppo e indirizzati verso un punto finale.

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