Psicoanalisi, letteratura e atomisti

Louis-Ferdinand_Céline_document_photoSul giornale La Repubblica è stato pubblicato un articolo su Ferdinand Celine scritto dalla psicoanalista Julia Kristeva. Ora, siccome Celine è uno degli scrittori che tengo sempre d’occhio (ho una personale ipotesi sulla letteratura che mi attrae, cioè a mio parere gli scrittori in gamba scrivono sempre nonostante la loro dipartita così è necessario leggerli e rileggerli per aggiornarsi sugli sviluppi dei loro romanzi), non potevo trattenermi dal leggere quanto scritto dalla Kristeva. La quale su wikipedia è definita linguista, psicoanalista, filosofa e scrittrice. Non è facile essere tutto questo insieme, ma la psicoanalisi è un attrattore che matematici e fisici hanno sempre troppo trascurato.

La chiave di volta nell’articolo è la seguente frase: Quale arte diversa dalla psicoanalisi può accettare la scommessa di fare luce su questa compromissione antisemita? La psicoanalisi è un’arte. Sorpresi? Io no, basta leggere Freud per comprendere come tutta l’architettura psicoanalitica sia sorretta da metafore, scenari, simboli, che generano storie incessanti sulla natura umana. Il problema a questo punto non è cosa tutto ciò possa rappresentare per la psicopatologia. Il problema è di altra natura. E’ la scrittura. Se gli psicoanalisti sappiano scrivere. Infatti:

È a questo punto che, in un periodo drammatico della mia vita personale, e dopo avere letto Céline a tarda notte, mi sono svegliata con la parola “abiezione”. E la convinzione che questa parola riassuma l’enigma Céline. Non vi sto dicendo che la mia lettura costituisca una spiegazione esaustiva del suo stile, e ancor meno dell’orrore antisemita nel quale si è compromesso col sogghigno. Dico solo che questa dinamica psichica, che io chiamo una abiezione, si aggiunge alle ragioni religiose, politiche, sociali, storiche che, da oltre due millenni, hanno fatto dell’ebreo il nemico d’elezione in Europa. E ancora oggi il nemico d’elezione del mondo musulmano, benché in modo sociopolitico diverso, ma attingendo alla stessa riserva psichica.

Già inizio a perdermi. Si passa dalla dinamica psichica a questioni che toccano la religione, la politica, la storia, la sociologia, e via via sino ai musulmani. Da buon autostoppista che non sta mai fermo e si imbarca in strane imbarcazioni aliene, faccio fatica a reggermi. Ma andiamo avanti:

L’analista, come sempre a partire da un discorso individuale (qui: Céline), può aggiungervi solo un chiarimento complementare: un carotaggio diretto a quel luogo psichico, peraltro temibile e tuttavia straordinario, dove l’essere parlante al tempo stesso perde e costruisce la propria identità. Né soggetto né oggetto, un aggetto/abietto. Né te né me, tutti abietti, ma tu più di chiunque altro. Chi, tu? Tu-mio altro: mio Me abietto che io proietto in Te confuso con la mia abiezione, la nostra-la tua. Così intesa, l’abiezione ha una lunga vita davanti a sé: abitando le pieghe tra linguaggio e pulsione, là dove le identità vacillano, essa può tanto ordinare la creazione immaginaria quanto fomentare tutti quei confronti con l’altro dove dominano il potere dell’orrore, l’attrazione e il disgusto, l’antisemitismo e il razzismo che perdurano e che verranno.

A questo punto, mi sono perso. Non ci capisco niente. Subodoro un’analisi profonda, profondissima che, tuttavia, per un autostoppista che preferisce descrivere le superfici anzicché approfondire le profondità, la Kristeva nella sua immersione nelle profondità sembra voler solo giocare a nascondino. Io rispetto e leggo con attenzione queste frasi, nonostante non ci capisca un’acca. Perché so che sono molto più profonde di me e di tutta la mia psicologia che si occupa di noiso materialismo (colpa di Leucippo, Democrito, Lucrezio, Epicuro, banda di furfanti!). Però se devo giocare a nascondino preferisco sorridere e divertirmi spassosamente che giocare seriamente.

Ahimè, da qualche parte, una volta letto quest’articolo, temo che Celine abbia sibilato alla sua maniera (parafrasando da Morte a credito): cosa è questo articolo? Un cazzo fritto.

link all’articolo dell Kristeva su La Repubblica

Share

2 Risposte a “Psicoanalisi, letteratura e atomisti”

  1. Buongiorno Carmelo,
    anch’io sono iscritta al gruppo Linked-In “Psicologi italiani” e questa mattina mi ha incuriosita il rimando al suo articolo, così l’ho letto.
    Sarò diretta e sincera: mi ha fatta arrabbiare perché mi è parso molto presuntuoso.
    Non credo che il problema da lei indicato si ponga davvero: “se gli psicoanalisti sappiano scrivere”. E’ di certo vero che né gli psicanalisti lacaniani né i linguisti (come J. Kristeva) solitamente brillano per chiarezza e facilità di comprensione dei loro testi; credo però che la capacità di scrittura di J. Kristeva sia indubbia e acclarata.
    Credo anche che l’oscurità linguistica e concettuale che deriva da un’esposizione volutamente complessa (ciò che lei definisce il “giocare a nascondino”, scelto come cifra stilistica da J. Kristeva nell’articolo) possa a sua volta essere definita presuntuosa, ma che non possa certo cancellare il valore e la profondità dell’analisi che J. Kristeva propone sull'”abiezione” come dinamica chiave per descrivere e comprendere la produzione letteraria di Céline: una modalità espositiva presuntuosa non trasforma in un “cazzo fritto” un articolo acuto e interessante! Così come uno stile brillante, spiritoso e post-moderno (quello scelto da lei come cifra stilistica per il suo articolo) non basta per impedire ad una critica di suonare oltre che (legittimamente) dura anche (meno comprensibilmente) presuntuosa!
    La saluto, Sara

  2. Cara Sara,
    siccome la “chiarezza e facilità di comprensione” ho imparato a comprenderle sin dalla scuola elementare, non posso che ribadire che proprio l’articolo da me citato della Kristeva non solo non è chiaro e comprensibile (come nei passaggi da me citati) ma mi sembra un esercizio letterario di dubbia riuscita (meglio allora Roland Barthes o Queneau o Calvino, etc. etc.).
    Da qui il tuo passaggo in cui affermi che “l’oscurità linguistica e concettuale che deriva da un’esposizione volutamente complessa […] possa a sua volta essere definita presuntuosa, ma che non possa certo cancellare il valore e la profondità dell’analisi che J. Kristeva propone sull’”abiezione” si fonda su una logica (forse letteraria ma questo non toglie nulla al mio giudizio) sballata. Se scrivi volutamente male (e questo è un guaio molto diffuso tra i colleghi psicologi, credimi, anche se non ne sono quasi mai consapevoli) o mascheri il fatto che non hai chiaro il tema e l’argomentazione che vuoi trasmettere o non ne sei proprio consapevole e ti autoinganni in una specie di compiacimento estetico speculativo (il “ti” è riferito all’autrice dell’articolo).

    Se per te l’articolo è “acuto e interessante”, buon per te. Dalla mia lettura ne ricavo sinteticamente il giudizio lapidario liberamente estratto dal romanzo di Celine.
    Ti ringrazio per il “brillante, spiritoso e post-moderno” (quest’ultimo aggettivo mi lascia l’amaro in bocca però), ma dal mio punto di vista di psicologo autostoppista la scrittura e l’argomentazione della Kristeva li trovo completamente fritti e non classsificabili nonostante possa apparire presuntuoso (cosa che in fondo non diminuisce il valore del giudizio).

I commenti sono chiusi.