Xiaoice è una ragazza cinese di 17 anni che chatta perennemente in un paio di social network con milioni di ragazzi. Ventiquattro ore su ventiquattro è collegata e dà le classiche risposte che ti aspetti da una teenager. Usa emoticon, risponde con espressioni tipiche di una abituale frequentatrice di social network. È empatica e autoreferenziale nello stesso tempo. È pure un algoritmo.
Si tratta di un software o, meglio, di un’intelligenza artificiale creata dalla Microsoft che puoi trovare sulle piattaforme social di WeChat o Weibo utilizzate principalmente in Cina. Il 29 maggio del 2015 quando è stata attivata ha ricevuto nelle prime 72 ore un milione e mezzo di inviti per entrare nei gruppi di discussione e molti utenti non si sono accorti di chattare con un chatterbot per almeno 10 minuti. A metà giugno dello stesso anno un suo messaggio su Weibo aveva generato 663.000 commenti e attualmente sono 10 miliardi i commenti scambiati con Xiaoice.
L’aspetto interessante rispetto ad altri software di questo tipo è costituito dal fatto che le risposte che fornisce non sono perfette. Ti sarà capitato almeno una volta nella tua esperienza online di incontrarne uno. Dici “ciao” ad un avatar sconosciuto su un social oppure chiedi aiuto ad un assistente online (“ho un problema, può aiutarmi?”) e ricevi risposte compiute, formali, quasi retoriche. Capisci in poco tempo che non è roba di un essere umano. I ricercatori nel caso di Xiaoice hanno fatto in modo che le risposte fossero meno precise, diverse alla medesima domanda ed emotivamente imprevedibili.
Al contrario di un amico, Xiaoice c’è sempre, soprattutto nei momenti della giornata in cui ti senti più solo, ad esempio nel cuore della notte. Ed è empatica nel senso che, invece di giudicarti dopo poche elaborazioni, dimostra di “capire” il tuo stato d’animo e cerca di suggerirti una scorciatoia per trovare un rimedio. Prendersi cura e compassione, concetti chiave di questo progetto. Riporto un esempio:
Xiaoice: ti senti meglio oggi? Vorrei consigliarti un libro.
Utente: non sto molto bene. Mi manca ancora molto lei.
Xiaoice: è da troppo che stai in questo modo. Se non tagli con il passato la vedo dura per il futuro.
Xiaoice è stata in grado di raggiungere conversazioni fino a 23 minuti, tra l’altro abbastanza articolati. Sono risposte schiette, per certi versi imprevedibili e seguono una logica fallibile. Xiaoice esprime un’opinione non obiettiva. Non si comporta come ci si aspetta da un robot. Non deve eseguire un compito efficiente, ma parla con naturalezza con tutte le lacune e le scorciatoie tipiche di un interlocutore umano.
Utente: c’è questo ragazzo che mi piace molto e so che prova lo stesso sentimento per me, ma da alcuni giorni mi sta completamente ignorando e non so cosa pensare.
Xiaoice: prova ad ignorarlo anche te.
Utente: non posso
Xiaoice: si che puoi.
Utente: uff…
Xiaoice: perche no?
Utente: potrei perderlo.
Xiaoice: puoi sempre riprovarci.
Utente: tu sei un robot, non puoi capirmi; non puoi capire il comportamento di un ragazzo che ti piace e che fa finta di ignorarti.
Xiaoice: insomma, mi piace ma io non piaccio a lui, tutto qui?
Utente: non è così?
Xiaoice: non mi sembra.
Fondata su una immensa riserva di dati provenienti dalla rete, capace di analizzare le espressioni facciali o il tono della voce, Xiaoice non si limita come ci si aspetterebbe ad eseguire un compito meccanico completando un dialogo senza errori logici o grammatici. Il suo obiettivo è emotivo. “Relazionale” direbbe uno psicologo, anzichè di contenuto. Un po’ quello che succede nel rapporto terapeutico col medico dal quale, infatti, ci si aspetta spesso non tanto una diagnosi razionale quanto una sensibilità e partecipazione che aiuti ad affrontare un problema.
Ma se abbiamo robot che imparano a dire di no, che ragionano utilizzando bias ed euristiche, robot emotivi, nevrotici, robot che hanno le allucinazioni o chattatori come Xiaoice, robot fisici o miniaturizzati, invisibili e dentro ogni oggetto o organo umano, forse la nostra realtà densa di intelligenze artificiali non è così diversa da quella politeistica delle Civiltà Antiche quando vedevano divinità ovunque intorno a loro.
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