Immigrati, Darwin, Adam Smith.

20111231-075200

Quando vedo qualche immagine o leggo qualche trafiletto di cronaca sugli immigrati o vengo a conoscenza di qualche opinione da un social mi perdo letteralmente a trovare una logica. Mi dico: ci sono vari motivi che spingono un individuo ad attraversare il mare o una catena montuosa, a scavalcare un muro o il filo spinato. E vedo profilarsi gli anonimi motivi che vanno a sbattere, per un invariabile regola della reciprocità, su chi sta ad osservare. Perché, noi che la guerra e, più o meno, la fame non le abbiamo, stiamo (o stavamo) nella posizione di chi osserva.

E’ la maniera psicologicamente più adeguata per farci sentire persone normali. Solo chi osserva la disgrazia altrui – che se la sia cercata o sia rimasto vittima per opera del caso è un’altra storia – osserva, per definizione geometrica, da lontano e può provare svariate emozioni di cui il regno animale ci ha dotato. Solo la lontananza, il senso di estraneità verso il disgraziato ci consente di poterlo definire “disgraziato” e noi consente meccanicamente di sentirci in uno stato di normale “grazia”.

Ma a parte questa evidente speculazione da 4 soldi, vedendo qualche immagine o leggendo casualmente il trafiletto di cronaca sugli immigrati immagino, in quell’interminabile viaggio sui barconi o a piedi, immagino tra i viaggiatori i disabili, chi ha disturbi di apprendimento, faccio statistiche su quanti soffrono di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o il Parkinson, valuto le possibili conseguenze di chi volta le spalle alla casa demolita e si imbarca su una imbarcazione con ampia probabilità di un disastro. Osservo con gli occhi di chi parte, se è lecita questa ipotesi in cui possiamo fingerci nella testa di un altro, osservo e cerco di riprodurre un ipotetico stato emotivo. Angoscia, disperazione, paura, ansia? E quando inizieranno a farsi sentire le prime avvisaglie della depressione e del disturbo post traumatico da stress? E l’enorme quantità di cortisolo nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene fino a quanto tempo allontana il dolore psichico e qual è la variabilità fra gli individui? Lo stress deve statisticamente procurare allucinazioni in qualche cervello, è una reazione neurologica abbastanza documentata. E il concetto di resilienza come si intreccia ai vari casi individuali?

E così via, durante la giornata ritornano questi pensieri confusi e non è facile darci una logica.

Ho letto di recente un articolo di Sam McNerney in cui recensisce un libro che mette a confronto 2 teorie, quella di Darwin sulla teoria dell’evoluzione e quella di Adam Smith sull’autoregolazione del libero mercato. Sono 2 modi di descrivere l’agire delle persone. Nel primo caso vale sostanzialmente l’azione individuale per se stessi, nel secondo caso l’azione individuale libera di esprimersi in un libero mercato finisce – teoricamente -per restituire un margine di vantaggio anche alla collettività. Da un lato l’individualismo biologicamente organizzato, dall’altro l’individualismo tatticamente “socializzato” dato che il perseguimento del bene personale comunque porterebbe benefici all’intera collettività. Quando leggo qualche trafiletto di cronaca o vedo qualche immagine sugli immigrati, penso che queste 2 teorie non sono così diverse l’una dall’altra, ma cooperino per utilizzare tutti quegli immigrati, me lettore e tutti coloro che si fanno un opinione, queste 2 teorie cooperino utilizzando dolore psichico e fisico e speculazioni da 4 soldi per mantenersi in vita e garantirsi la loro riproduzione a nostre spese.

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